Come regolano il bere i ratti?

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 04 dicembre 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Lo scorso anno ci siamo occupati del ruolo della sete nell’omeostasi dei fluidi corporei, inquadrando in questi termini la questione:

“Il mantenimento dell’omeostasi dei fluidi corporei è un argomento sul quale si indaga attivamente in questo periodo per riuscire a dare risposte ad interrogativi considerati di notevole rilievo biologico, perché i processi necessari a sostenere questo equilibrio hanno un’importanza critica per la sopravvivenza di tutti gli organismi viventi. È noto che deviazioni estremamente piccole dell’asse che indica l’equilibrio dei fluidi nei compartimenti naturali sono in grado di elicitare immediate e automatiche correzioni. Su questi processi le conoscenze sono ancora insufficienti. Per le variazioni di portata maggiore, invece, i dati emergenti dalla ricerca ci consentono di ricostruire un quadro ben definito, nel quale la sete svolge un ruolo cardine.

La sete è un’istanza biologica con un alto potere di attivazione cerebrale, responsabile della motivazione che induce l’animale ad andare alla ricerca di acqua e giungere ad assumere la quantità di liquidi necessaria a ottenere il ripristino dell’equilibrio che era stato alterato da un deficit di acqua. Il processo che consente la rilevazione della deidratazione si conosce nel dettaglio cellulare e molecolare, ma non si sa se, quando si verificano delle riduzioni minime del contenuto idrico, sia reclutato anche il sistema dopaminergico implicato nella motivazione”[1].

Dopo questa introduzione abbiamo proposto il meccanismo individuato da Ted M. Hsu e colleghi, che implica l’intervento del “sistema a ricompensa” anche per la regolazione dell’assunzione di acqua quando le variazioni del contenuto idrico dell’organismo sono minime. Ma rimane un quesito ancora più affascinante: l’acqua intesa come ricompensa in che modo è considerata dal cervello dei roditori, visto che gli sforzi che questi compiono per ottenerla appaiono regolati in un modo sorprendentemente razionale.

Uno studio condotto da Pamela Reinagel fa luce sulla questione grazie a un modello matematico.

(Pamela Reinagel, Rational regulation of water-seeking effort in rodents. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 118 (48): e2111742118 - Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2111742118, 2021).

La provenienza dell’autrice è la seguente: Division of Biological Sciences, Neurobiology Section, University of California San Diego, La Jolla, California (USA).

In laboratorio, la motivazione ad agire degli animali tende a essere correlata positivamente con le dimensioni della ricompensa: una quantità maggiore di premio evoca una più grande motivazione. E si può aggiungere che nelle condizioni artificiali delle osservazioni laboratoristiche questa regola è parte di una simmetria di comportamento tra lo sperimentatore e l’animale. In natura le cose avvengono in modo del tutto diverso: le ricompense guadagnate dall’animale mediante il lavoro sono essenziali per la sopravvivenza, come nel caso paradigmatico del compimento di un’attività per trovare acqua da bere, e la retribuzione di tale lavoro può variare su scale temporali di lunga durata, ad esempio, con andamento stagionale. Con tali condizioni vincolanti, la scelta dell’animale secondo quella che convenzionalmente si definisce “strategia di laboratorio”, ossia lavorare meno quando si sa che le ricompense sono minori, nella realtà naturale potrebbe essere fatale.

Studi precedenti avevano evidenziato che i ratti possono comportarsi come soggetti economici agenti in modo razionale, facendo scelte circa la quantità di lavoro (attività) da compiere per ottenere un premio in un modo da ottimizzare la contropartita nel valore della ricompensa contro il costo dello sforzo. Contrariamente alla nozione che ricompense più grandi sono più motivanti, i ratti si impegnavano più intensamente e duramente nelle circostanze economiche in cui le ricompense erano piccole, così da assicurarsi uno “stipendio minimo sufficiente di acqua”, per conservare la metafora lavorativa umana adoperata da Pamela Reinagel. Negli esperimenti originali condotti dalla Reinagel e dai suoi colleghi, i ratti sceglievano di “guadagnare” e consumare più acqua al giorno quando l’acqua era “a buon mercato”, ossia ottenibile con poco lavoro.

Reinagel e colleghi hanno elaborato un modello matematico in grado di spiegare perché i ratti lavorano, quando ciò accade, e sorprendentemente non solo quando hanno sete, suggerendo che il cervello degli animali potrebbe calcolare il valore corrente del lavoro effettuato per ottenere dell’acqua.

Dunque, è emerso che i ratti, posti in una “economia chiusa”, facevano più lavoro per ottenere l’acqua quando la sua quantità era stabilmente poca. Ma, osserva la Reinagel, i ratti, come i consumatori della realtà umana, hanno mostrato elasticità nella domanda, consumando molta più acqua al giorno quando il suo costo in termini di sforzo era minore.

I meccanismi neurali sottostanti tale comportamento, che sembra una “scelta razionale” secondo i principi umani del mercato, sono ancora del tutto inesplorati. Per questo, spiega l’autrice dello studio, hanno elaborato un modello matematico, che si può definire un modello dinamico di massimizzazione dell’utilità, che può dar conto della dipendenza della “fornitura di lavoro” del ratto, in termini di “prove/giorni” dalle “dimensioni del compenso, in “millilitri/prova”, e inoltre prevede le dinamiche temporali del ratto quando è in azione.

Pamela Reinagel e i suoi colleghi, che non hanno firmato l’articolo ma sono da lei menzionati in tutto il testo, basandosi sui dati ottenuti da altri gruppi di ricerca nei topi, ipotizzano che i neuroni glutammatergici dell’organo sub-fornicale della lamina terminale continuamente elaborino e calcolino l’utilità marginale istantanea del lavoro volontario per ottenere la ricompensa d’acqua, e determinano causalmente l’ammontare e la temporizzazione del lavoro.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-04 dicembre 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 21-11-20 La sete recluta il segnale della dopamina subfornicale.